lunedì 8 agosto 2011
Morto Corrao, l'avvocato che scardinò il delitto d'onore
Al pensiero di Ludovico Corrao ci si poteva avvicinare attraverso una doppia iniziazione: quella della conoscenza e quella del desiderio. Solo se convivevano queste due condizioni lui si raccontava con slancio vitale e utopico, facendo sentire l'interlocutore al finestrino di un treno dove, invece del paesaggio, scorreva la storia del secolo scorso, quella siciliana in particolare. Ma nessuna galleria oscurava le sue parole, tutto risultava chiaro e sulla mappa disordinata di oltre mezzo secolo di malgoverno e di un'Autonomia imbrattata da sprechi e cattiva amministrazione, lui tracciava una confortante chiarezza: siamo qui, veniamo da là, vogliono farci andare là ma noi resisteremo. Senza la furbizia del politico, ma col cuore dell'appassionato. C'erano tappe imprescindibili nei suoi racconti: la visita del duce che inaugurava la stazione di Alcamo-Diramazione quando lui era adolescente, le battaglie politiche, la stagione della riforma agraria, i misteri siciliani, la questione meridionale
. E poi lui, figlio di un artigiano e di una maestra di ricamo, che si ritrovava indifferentemente a fianco dei contadini e di Kruscev che lo ricevette con tutti gli onori. Un raro caso di anima popolare e snob al tempo stesso. Oggi lo ricordiamo così, con la sua innata eleganza: cappello, bastone, sciarpa di tessuti e colori d'Oriente e pochi sorrisi. Un'avventura solitaria, la sua. Chi mai ha avuto l'intuizione e la capacità di mettere insieme arte e politica, economia e storia? Chi ha un sogno, in questo mondo, sembra che debba finire per forza ammazzato. E il suo sogno era quello di una Sicilia terra eterogenea, composta di elementi islamo-cristiani, satura dei suoi caratteristici aspetti contraddittori e per questo dal fascino irresistibile. E pure quello di far emergere l'anima plurale di quest'isola, le sue vocazioni, i suoi saperi, la sua identità, la sua cultura millenaria. E poi c'era il sogno allargato, quello di un «Mare nostrum» di incontri e non di scontri, quello di un unico popolo mediterraneo: come il suo Museo delle Trame Mediterranee di Gibellina, dove convivevano soffi di Yemen, Giordania, Marocco, Libia, Grecia, Egitto, vero manifesto filosofico e morale del suo pensiero. O come la Fondazione Orestiadi, officina di culture. Ma sapeva che certi sogni hanno bisogno di progetti, prima di tutto culturali su cui innestarne altri economici. Capovolgere era il suo verbo, lo testimonia una vita di rotture. Antifascista come il padre, aderì alla Dc, dopo essersi formato sui testi di La Pira e Sturzo, trovati nelle librerie ecclesiastiche. Alla fine degli anni Cinquanta, da ideologo del controverso milazzismo, tentò di far spirare venti di modernizzazione sulla Sicilia, provando dare alla Democrazia Cristiana una spinta autonomista, rivendicando lo sfruttamento delle risorse naturali e superando perfino le divisioni tra destra e sinistra «in nome dei superiori interessi dei siciliani»: fu allora che, nel suo feudo siciliano, la Dc finì all'opposizione. Quell'esperienza si bruciò in tempi brevissimi, ma Corrao ebbe il tempo di fondare, nel giorno dell'Immacolata del 1958, l'Unione siciliana cristiano-sociali. Una parentesi chiusa - che dentro ingloba alcune delle tante pagine oscure della nostra storia - sulla quale non amava soffermarsi se non per respingere al mittente le accuse di immoralità di quel movimento. Di quel movimento rimasto stritolato nel primo tentativo di compravendita di deputati. Successivamente fu eletto senatore nelle liste del Pci. Come indipendente, ovviamente. La sua esistenza trascorse tra disastri, quelli provocati dalla natura e quelli fomentati dall'uomo. A Napoli i bombardamenti durante la guerra, al ritorno in Sicilia ecco le bande armate che infestavano il territorio. Poi una serie di attentati. Poi il terremoto. Allora la svolta verso una militanza non più politica ma culturale e sociale, sempre fermo nella certezza di un nesso mortale, un soffocante intreccio, tra mafia e politica che lasciava la Sicilia nella sua arretratezza. Da avvocato, nel 1965 difese Franca Viola, quella mite sicilianina che rifiutò il matrimonio riparatore con uno dei suoi rapitori, scardinando secolari posizioni di asservimento della donna, mentre ancora il delitto d'onore restava impunito. Una certezza accompagnava il senatore: la Sicilia era sempre stata capace di rinascere nel segno dell'arte. Era successo a Noto col barocco, è successo nel Belice. Il pensiero degli artisti e dei pensatori arrivati a Gibellina dopo il terremoto lo commuoveva ancora per il moto spontaneo che aveva spinto tanti a costruire, anche metaforicamente, un nuovo ordine, a invertire una condanna. Levi, Damiani, Sciascia, Dolci, Buttitta, Balistreri, Burri, Accardi. E Consagra con quella Stella, simbolo di rinascita, di diritto a una nuova vita. Oggi era cosciente di quanto i suoi sogni non fossero diventati realtà, perché la Sicilia non è Hollywood: continuava a volere un'isola «oasi di palme» ma cominciava a interrogarsi sulla validità dell'Autonomia, dopo il tradimento dei patti costituzionali tra Stato italiano e popolo siciliano. Ancora una volta con le sue parole «disegnava» i tratti della Sicilia: «Assistiamo a un processo federalista contrario allo sviluppo autonomo del popolo del sud Italia. La Sicilia si dondola, non trova strade per una affermazione. E perdura la politica colonialista». Parole di uno che aveva capito, mezzo secolo fa, che alla Sicilia non s'addicevano più coppole storte, scialli neri e lutti perenni. Ma non tutti, come lui, hanno una cara amica: la libertà. 1Ludovico Corrao e Leonardo Sciascia. 2Franca Viola. 3Silvio Milazzo Bandiere a mezz’asta. Sospensione degli spettacoli estivi. Riunione stamane alle 9 della giunta per decidere la proclamazione del lutto cittadino. Lo ha deciso il sindaco Giacomo Scala in segno di lutto in una città quella di Alcamo, dove era nato, sotto choc per la morte di Ludovico Corrao, senza dubbio uno dei suoi figli più illustri. C’è incredulità e sgomento tra la popolazione. C’è cordoglio e commozione. C’è il ricordo di una frase pronunciata da Ludovico Corrao in occasione delle celebrazione del 40esimo anniversario del terremoto del 1968. «Conservatemi nel tabernacolo della vostra memoria». E la figura di Ludovico Corrao, prima ancora della tragica morte, si era guadagnata tante pagine della storia e non solo siciliana. Decine le sue battaglie civili. Decine le sue iniziative per la fratellanza tra i popoli del Mediterraneo. Il Comune di Gibellina ha deciso di proclamare da oggi tre giorni di lutto cittadino. Rosario Fontana lo ha ricordato affermando. «È stato il padre della Valle del Belice».
Articolo del Giornale di Sicilia dell'8 agosto 2011.
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